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Il presidente della Federazione italiana dell’industria alimentare sottolinea l’urgenza di misure reali di sostegno al settore. Smentita intanto dal PD la notizia sul presunto blocco delle nuove aperture.

Che il settore del turismo e della ristorazione sia uno di quelli più in sofferenza per gli effetti del lockdown e dell’epidemia di coronavirus, è un fatto ormai incontestabile. Fra misure di tipo assistenziale e contributi a pioggia ai limiti dell’elemosina, il Governo non ha ancora messo in campo provvedimenti seri per il rilancio di un comparto che complessivamente con il suo indotto rappresenta circa un terzo del Pil nazionale. Dalla mancanza dei turisti stranieri nella stagione estiva al perdurare dello smartworking che sottrae clienti ai locali soprattutto nei centri storici, sono molte le ragioni alla base delle richieste di misure di sostegno che da più parti continuano ad arrivare. E sul fatto che la ristorazione in particolare andrebbe maggiormente aiutata ha insistito il presidente di Federalimentare Ivano Vacondio, che sulle pagine del Corriere della Sera di oggi afferma: «Si poteva dare di più. Non alle aziende alimentari, ma ai nostri clienti, i ristoratori».

Ivano Vacondio - Anche Federalimentare chiede aiuti concreti per la ristorazione

Ivano Vacondio

Soddisfazione a metà, dunque, per il “decreto agosto”: se da un lato Vacondio plaude ai contributi a fondo perduto per i ristoranti che acquistano prodotti alimentari made in Italy, dall’altro critica la somma stabilita, che dalla prima ipotesi di 1 miliardo di euro è stata poi ridotta a 600 milioni. Nonostante i contributi a fondo perduto possano rappresentare una boccata d’ossigeno per chi li riceve, «per la ristorazione – spiega il presidente della Federazione italiana dell’industria alimentare – rappresentano sicuramente una misura necessaria in questo momento e non possiamo che essere soddisfatti, ma è anche vero che i contributi sono passati da 1 miliardo a 600 milioni: una vistosa diminuzione che crediamo dovrà essere sostenuta da altre norme in favore del settore, appena sarà possibile. L’ideale sarebbe tornare al miliardo, se non arrivare addirittura a 1,5 miliardi. Insomma, servivano interventi più massicci».

Sulla bocciatura dell’improvvisato bonus per scontare del 20% i consumi al ristorante, non rientrato nel decreto agosto, Vacondio si dice d’accordo: «Meglio che non sia passato. A me, in generale, i bonus non piacciono. Poi questo era anche complicato. Basta con questi aiuti a pioggia, rappresentati proprio dai bonus: bisogna fare delle scelte».

Puntare su un settore come quello della ristorazione (con tutta la filiera alimentare che sta a monte) è importante «perché – precisa Vacondio – nella ristorazione il fondo perduto è un investimento: se i ristoranti non chiudono, quando tornerà la normalità ripartirà anche tutta la filiera in modo veloce, non come nell’automotive dove ci si riprende in più tempo. Io non chiedo soldi per le industrie alimentari, ma per i nostri clienti. Si è visto durante la pandemia quanto è importante il comparto food».

Nel periodo del lockdown, con la sospensione di molte attività produttive e l’isolamento domestico dei cittadini, il mondo del food non si è fermato, resistendo ai contraccolpi economici della pandemia. «Quando si parla di numeri – sottolinea il presidente di Federalimentare – si fa sempre riferimento al fatturato. Ma c’è un elemento più importante che va valutato: la redditività. E quella delle aziende alimentari è diversa a seconda che vendano all’Horeca o agli hard discount. Le imprese assumono e investono se creano ricchezza, non dimentichiamolo. Perciò va sostenuta la ristorazione, un settore strategico per i consumi interni del Paese e per tutta la filiera alimentare, dal produttore al consumatore. Il fatturato dell’Horeca, in Italia, è di circa 30,5 miliardi: il “fuori casa”, cioè, copre un terzo della torta dei consumi alimentari nazionali ed è stato l’unico segmento in salute sul mercato alimentare interno nell’ultimo decennio. Ma nel 2020 si è perso circa il 50% del fatturato Horeca che non è stato recuperato con i maggiori consumi interni».

Dario Parrini - Anche Federalimentare chiede aiuti concreti per la ristorazione

Dario Parrini

Si spengono intanto le polemiche nate nella giornata di ieri sul presunto emendamento al decreto agosto che sarebbe stato presentato dal senatore PD Dario Parrini e che chiederebbe il blocco delle aperture di nuovi ristoranti fino a dicembre dell’anno prossimo. «Bloccare l’apertura di nuovi ristoranti? Siamo alla follia», aveva tuonato la Federazione italiana cuochi in una nota diffusa in serata. «Se fosse accolta questa proposta si penalizzerebbero le nuove iniziative imprenditoriali, soprattutto nelle piccole realtà territoriali, dove ancora sono disponibili licenze comunali per l’apertura di nuovi ristoranti. È una follia pensare di risolvere così la drammatica situazione in cui versa l’intero comparto della ristorazione. È necessario studiare misure più adeguate per rilanciare un settore trainante per l’intera economia del Paese, che ha ricadute importanti anche su tutta la filiera agroalimentare».

Ma il senatore Parrini ha poi chiarito la sua posizione: «Impedire a nuovi imprenditori di fare investimenti nel mercato della ristorazione sarebbe profondamente sbagliato. Una fase di crisi come quella che viviamo richiede l’esatto opposto: sarebbero utilissime delle robuste iniezioni di idee e liquidità. Leggo peraltro – ha precisato – che la proposta del blocco sarebbe contenuta in un mio emendamento al decreto agosto. Ora, il decreto agosto non è ancora uscito sulla Gazzetta Ufficiale e non è stato ancora trasmesso al Parlamento. Dunque, in senso tecnico e per noi parlamentari, il decreto non esiste ancora. E non si può emendare qualcosa che non esiste».

Nessun blocco quindi per le nuove licenze fino al 31 dicembre del 2021. Ma un’altra proposta è arrivata sempre dal Partito Democratico: un emendamento al decreto Semplificazioni, in discussione in Senato, vorrebbe vietare a macellerie e pescherie di far consumare nei loro locali o nelle vicinanze i cibi che vendono, al fine di evitare che si trasformino di fatto in ristoranti facendo concorrenza ai locali tradizionali. Se l’emendamento venisse approvato, il divieto sarebbe in vigore fino alla fine del 2021


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