Una circolare del ministero dell’Interno ha dato ossigeno ai ristoratori e anche ai lavoratori, dipendenti d’azienda. Rivedendo quanto disposto dall’ultimo Dpcm infatti, la circolare consente – come chiesto più volte da Italia a Tavola e dai ristoratori stessi – di rivedere i codici Ateco dei locali pubblici per poter diventare mense aziendali anche se originariamente nascono come bar e ristoranti.
Una novità non da poco dal momento che questo vale anche nelle zone rosse e arancioni, quelle con le regole più ferree che non consentono alcuna apertura “in sala” a bar e ristoranti né a pranzo né a cena.
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Da ristorante a mensa aziendale
L’ok dopo tante richieste
A riavvolgere il nastro per cercare di capire come si è arrivati a questa decisione è Luciano Sbraga, direttore del Centro Studi di Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) il quale ricorda come iniziative autonome erano già in atto da qualche settimana. Veneto ed Emilia-Romagna in particolare si erano lanciate ottenendo i permessi dalle rispettive Prefetture. La voce si era sparsa, anche noi di Italia a Tavola ne avevamo dato notizia, e sempre più locali ci avevano provato. Poi, la svolta quando è stata la Prefettura di Latina a raccogliere la richiesta di alcuni ristoratori e a rivolgersi al Ministero per capire se fosse possibile dare il via libera. Probabilmente, a Roma, viste le richieste che arrivavano sul tavolo in costante aumento, hanno deciso di emettere una circolare nazionale valida per tutti.
«Come Fipe – ha detto Sbraga – ci siamo attivati da subito nel recepire le richieste dei nostri soci e nel farci da tramite con le Prefetture dopo aver compreso che poteva essere un’opportunità ghiotta. Fortunatamente il Ministero ha compreso che i pubblici esercizi svolgono un servizio, che è determinante per tutti quei lavoratori che non possono tornare a casa a mangiare e, se in zona rossa o arancione, devono appoggiarsi a qualche bar o ristoranti solo con il metodo dell’asporto affrontando un notevole disagio. Penso soprattutto a quelle categorie, come i lavoratori dell’edilizia, che necessitano di una pausa riposante e di svago ma non possono più sedersi in un ristorante o usufruire dei servizi igienici. In particolare la novità è che la circolare è andata oltre ai Codici Ateco consentendo a bar e ristoranti di diventare mense aziendali e quindi di lavorare e non solo alle mense aziendali, nate tali, di poterlo fare, come da disposizione del Dpcm».
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Luciano Sbraga
Regole precise per ottenere la “trasformazione”
Numeri su quanti locali stanno diventando mense ancora non ce ne sono, ma pare che il fenomeno stia prendendo piede. Anche perché è piuttosto semplice: i protocolli di sicurezza da seguire sono quelli entrati in vigore sin dal primo sblocco di fine primavera/inizio estate, poi basta un contratto stipulato con un’azienda la quale deve comunicare nomi e cognomi dei dipendenti (vietato l’ingresso dunque ai liberi professionisti) che potrebbero entrare nel locale così da favorire controlli ed eventuali tracciamenti. Nomi e cognomi che il ristoratore deve esporre nel locale. Il servizio sostitutivo di mensa aziendale dà luogo all’instaurazione di un duplice rapporto contrattuali tra i soggetti coinvolti, di cui il primo, tra la società emittente i buoni pasto e il datore di lavoro, è soggetto a Iva con aliquota del 4%,mentre il secondo, tra la società emittente e la mensa aziendale ed interaziendale che accetta i buoni pasto, è soggetta a Iva con l’aliquota del 10%. È quanto chiarito dalla risoluzione n. 75 del 1° dicembre 2020, con la quale l’Agenzia delle Entrate è intervenuta in merito al trattamento, ai fini Iva, dei servizi sostitutivi di mensa aziendale resi a mezzo di buoni pasto.
«Un segnale positivo – ha osservato Sbraga – che resta comunque una pezza ad una situazione paradossale. La scelta giustifica e rende ancor più ragionevole la nostra richiesta di aprire i ristoranti in zona arancione almeno a pranzo perché i lavoratori in mobilità hanno il diritto di sedersi a mangiare. Manca un ultimo passaggio: il Ministero non comprende che i ristoranti non generano mobilità, ma la intercettano e per questo non possono essere additati di essere responsabili di un innalzamento dei contagi».
Bergamo, l’ultima provincia ad unirsi
La Provincia di Bergamo si è recentemente uniformata all’iniziativa. «Ringraziamo la Prefettura dei chiarimenti sul servizio mensa e catering – spiega il direttore Ascom di Bergamo, Oscar Fusini – certo la situazione per ristoratori e baristi è sempre grave. Ma se alcuni ristoratori se in possesso dei requisiti richiesti potranno fare un po’ di lavoro, sarà un vantaggio per loro e aiuto per tanti operai e impiegati, che potranno pranzare al caldo e non nelle cabine dei camion e nei capannoni. Abbiamo concordato con la Prefettura le interpretazioni e dato delle indicazioni alle quali i titolari di attività di ristorazione dovranno attenersi».
Veneto ed Emilia-Romagna apripista
L’iniziativa è già adottata con successo da tempo in Emilia Romagna e nelle province venete di Rovigo, Venezia, Vicenza e Padova. «Per ristoranti e anche bar con cucina – afferma Bruno Meneghini, segretario provinciale della Fipe Confcommercio di Rovigo sulle pagine de Il resto del Carlino – si tratta di un’opportunità per attenuare gli effetti devastanti delle chiusure imposte a causa del Coronavirus, un beneficio che si estende anche alle aziende. Nei giorni scorsi abbiamo interpellato l’ufficio prefettizio in merito alla correttezza dell’interpretazione sulla possibilità per i pubblici esercizi di erogare il servizio di ristorazione a lavoratori di aziende con le quali viene stipulato un contratto per la somministrazione di alimenti e bevande, sia in orario diurno che serale. A nostro avviso, infatti, anche i ristoranti e attività similari rientrano nelle attività che possono erogare servizio di mensa e di catering continuativo su base contrattuale come previsto negli ultimi Dpcm».
Milano e Como in difficoltà
Ottenere il via libera appare semplice e ora pure regolamentato dal Ministero, ma non tutti sono così aggiornati e preparati sull’argomento. A Milano sembra che sia complesso reperire informazioni per poter accedere all’opportunità, mentre la Prefettura di Como ha interpretato la circolare ministeriale in modo del tutto personale, di fatto ignorandola e rifacendosi all’Dpcm. Morale: bar e ristoranti devono restare chiusi e non possono diventare mense aziendali. Meglio fermarsi qui e guardare il bicchiere mezzo pieno, si tornerebbe a disquisire sul circo che si genera ogni volta attorno ad aperture e chiusure.